Avversi o propensi al rischio? Qual è la vostra predisposizione?

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Kim Basinger, l’icona sexy degli anni ’80, fu costretta a dichiarare bancarotta e a vendere parte di una città che aveva comprato per 20 milioni di dollari. Nicolas Cage: l’acquisto smodato di Lamborghini, animali rari e castelli lo ha portato a dilapidare un patrimonio di oltre 150 milioni di dollari, insieme a due isole caraibiche e moltissimi yacht.

Il cantante ultra-miliardario Rod Stewart, dopo aver cenato in un ristorante di Los Angeles, tornato a casa ha controllato accuratamente il conto. Quando s’è accorto di aver pagato una bottiglia di acqua, pur non avendola consumata, è tornato al locale per farsi restituire i soldi. Paul Getty, petroliere e miliardario, quando suo nipote venne rapito in Italia nel 1973, si rifiutò di pagare il riscatto, fino a quando al giovane rampollo non venne tagliato un orecchio.

E ancora…

Nella Venezia del ‘500, c’era un mercante che guadagnava con il commercio marittimo. Per prudenza, non impiegava mai tutte le sue imbarcazioni sulla stessa rotta, dirigendole invece verso quattro diverse destinazioni.

Così facendo riduceva i rischi: la possibilità che le navi venissero colpite tutte simultaneamente da un evento avverso (pirati, tempeste, malattie), perdendo il carico o finendo distrutte, si abbassava drasticamente. Ogni imbarcazione aveva 1 probabilità su 4 di non tornare dal viaggio; la probabilità che il mercante perdesse tutto e finisse nei guai con il banchiere che lo aveva finanziato scendeva a 1 su 256.

Scelta, questa, ben diversa da quella di una famiglia di pescatori di Aci Trezza che, per sostenersi economicamente, prese a credito una partita di lupini da rivendere al mercato. Durante il viaggio in mare, però, a causa di una tempesta, la barca naufragò e il carico si perse. Pressata dai debiti, la famiglia fu poi costretta a vendere anche la casa.

Scomodando Shakespeare e Verga, attori, cantanti e petrolieri, abbiamo introdotto il concetto di avversione e propensione al rischio: atteggiamento che cambia a seconda dei contesti e della persona.

Si può infatti essere propensi a rischiare alla guida di un’auto, ma prudenti in Borsa, praticare sport estremi, ma non apprezzare l’incertezza sentimentale, recarsi al casinò con frequenza, ma sottoporsi meticolosamente a check-up medici.

L’avversione al rischio del mercante di Venezia, di Getty e Rod Steward è ora di più facile comprensione, soprattutto se paragonata all’infelice sorte toccata ai Malavoglia, alla Basinger e a Cage.

Come ci comportiamo di fronte al rischio?

Dipende da molti fattori e la disciplina che se ne occupa è la finanza comportamentale (branca degli studi economici che indaga i comportamenti dei mercati finanziari), fondata dal premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman e dal collega Amos Tversky.

In altre parole, la perdita di una somma, qualunque essa sia, pesa nella nostra mente, soggettivamente, molto più della vincita di quella stessa somma.

Precisamente, il rapporto di avversione alla perdita oscilla tra 2,25 e 2,5: a fronte di una perdita di 100 euro, occorrerà guadagnare fra 225 e 250 euro perché il nostro cervello ritrovi serenità.

Traduciamo il tutto in un esempio. Immaginate di essere convocati nell’ufficio del capo e di venir informati che avrete un aumento di 500 euro. Quanto valutereste l’impatto psicologico positivo della notizia, su una scala da 1 a 10?

Ora immaginate che vi comunichino non un aumento, bensì una riduzione dello stipendio di 500 euro. Per la maggior parte delle persone l’impatto psicologico negativo di una notizia del genere è maggiore rispetto a quello positivo collegato all’aumento.

Non tutti infatti sono avversi e propensi alle perdite nello stesso modo. Per esempio, coloro che per professione si assumono rischi nei mercati finanziari tollerano meglio le perdite: quando ai partecipanti a un esperimento venne detto di “pensare come trader”, essi diventarono meno avversi e la loro reazione emozionale alle perdite si ridusse sensibilmente.

Kim Basinger, l'icona sexy, fu costretta a dichiarare bancarotta e a vendere parte di una città che aveva comprato per 20 milioni di dollari.

Dove vi ritrovate?

Probabilmente, vi starete domandando qual è il vostro atteggiamento predominante fra avversione e propensione al rischio. Vi sottopongo alcuni quesiti proposti dallo stesso Kahneman.

Concentratevi solo sull’influenza soggettiva della possibile perdita o sul guadagno che ne deriva e rispondete sinceramente:

  1. Considerate un’opzione di rischio al 50-50 in cui perdete 10 euro. A partire da quale guadagno l’opzione vi sembra allettante?
  2. Cosa pensate dell’eventualità di perdere 500 euro con il lancio di una moneta? Quale guadagno la compenserebbe?
  3. E una perdita di 2.000 euro?

Facendo questo esercizio avrete notato che il vostro coefficiente di avversione alla perdita tende ad aumentare, anche se non in misura enorme, a mano a mano che aumenta la posta in gioco. Nessuna scommessa sarebbe allettante se la potenziale perdita fosse rovinosa. In tali casi il coefficiente di avversione alla perdita è molto elevato: vi sono rischi che non accettereste mai, indipendentemente da quanti milioni potreste vincere se foste fortunati. O non è così?

Rischio e condizionamento

Che la nostra propensione sia pro o contro i rischi, ciò che è importante è avere in mente gli obiettivi che si vogliono raggiungere, più che farsi guidare dall’emozionalità del momento. Per ottenere risultati migliori è fondamentale essere consapevoli del modo in cui l’avversione alla perdita o la propensione al rischio incidono sulle nostre decisioni.

Un errore potrebbe essere quello di immaginare il futuro sulla base dell’esperienza del passato. Il passato, purtroppo, contiene informazioni solo sul passato… e il rischio è fare la fine del Tacchino Induttivista di Bertrand Russell e Karl Popper.

Russell fa l’esempio del tacchino accudito con estrema cura che ogni giorno riceve acqua e cibo. Gradualmente si abitua alla confortevole situazione e aumenta la sua sicurezza. La fiducia del tacchino cresce, finché si interrompe bruscamente (e tragicamente, almeno dal punto di vista del tacchino) il Giorno del Ringraziamento!

Il povero tacchino servì a Bertrand Russell per dimostrare i rischi del pensare che il passato abbia tutte le informazioni utili per il futuro. È lo stesso rischio che corriamo anche noi quando ci cimentiamo nel fare previsioni (di qualunque tipo). Insomma, siamo macchine fatte per sbagliare… O meglio, siamo macchine perfettamente evolute per sopravvivere nel mondo naturale, ma molto meno adatte al mondo artificiale e complesso del lavoro. Saperlo non ci salva, ma ci aiuta.

Laura Mondino

Bibliografia

  • Kahneman D., Tversky A. (1979). Prospect theory: An analysis of decision under risk. Econometrica, 47, 263-291.
  • Kahneman D., Tversky A. (1981). The framing of decisions and the psychology of choice. Science, 211, 453-458.
  • Kahneman D., Tversky A. (2000). Choice, values, and frames. New York: Russell Sage Foundation.
  • Russell B., I problemi della filosofia, Milano, Feltrinelli, 1988, p. 75

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