Due (validi) modi di pensare

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Ci sono molti modi per mettere alla prova la nostra capacità decisionale, quello che propongo è un semplice indovinello, a cui occorre però rispondere d’istinto.

«In un prato c’è una zolla d’erba; ogni giorno la zolla raddoppia di dimensione; ci vogliono 48 giorni per coprire l’intero prato. Quanti giorni ci vogliono per coprire metà prato?».

Chi dice 24?

Chi dice 96?

Chi dice 47?

La maggioranza delle persone ha la certezza di prendere decisioni in modo razionale, ponderando cioè in modo ottimale le alternative, valutando pro e contro di ogni opzione per giungere in tempi sostenibili alla scelta più funzionale rispetto l’obiettivo prefissato.

Se l’opzione scelta è stata 47 probabilmente è così.

Se è stata 24 o 96 è la prova che l’istinto, almeno in questo frangente, è stato più scaltro della ragione.

Ciò che troppo spesso si sottovaluta è il fatto che l’intuizione porta fuori strada. In modo sistematico, ricorrente e prevedibile. Come bias ed euristiche insegnano.

Perché è così facile sbagliare?

A dimostrarlo, due personalità forti e antitetiche allo stesso tempo. Entrambi nipoti di rabbini dell’Europa dell’Est, con in comune l’interesse profondo per il modo in cui «le persone funzionano nei loro stati normali, praticano la psicologia come una scienza esatta, ed entrambi alla ricerca di verità semplici e forti […], dotati di menti di sconvolgente produttività. Entrambi ebrei atei in Israele».

Si chiamavano Amos Tversky e il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman.

Amos Tversky era ottimista e geniale perché: «Quando sei un pessimista e la cosa brutta accade, la vivi due volte: una volta quando ti preoccupi e la seconda volta quando succede». Capace di illuminare conversazioniscientifiche con esperti di settori lontani dal proprio, ma quasi etereo, insofferente alle convenzioni sociali e alle metafore: «Sostituiscono l’autentica incertezza sul mondo con ambiguità semantica. Una metafora è un insabbiamento».

Kahneman nasce invece a Tel Aviv, trascorre l’infanzia a Parigi. Nel 1940, l’occupazione tedesca mette a rischio la famiglia. Nascosti nel sud della Francia, riescono a sopravvivere (ad eccezione del padre, morto a causa del diabete non trattato). Dopo la guerra, il resto della famiglia emigra in Palestina.

Se Tversky era un nottambulo, Kahneman è un mattiniero che si sveglia spesso allarmato per qualcosa. È incline al pessimismo, sostenendo che «aspettandosi il peggio, non è mai deluso». Questo pessimismo si estende alle aspettative che ha per la sua ricerca, che gli piace mettere in discussione: «Ho il senso della scoperta ogni volta che trovo un difetto nel mio modo di pensare».

A Tversky piaceva dire: «Le persone non sono così complicate. Le relazioni tra le persone sono complicate». Ma poi si fermava e aggiungeva «Tranne Danny».

Erano diversi, ma chi li vedeva insieme mentre trascorrevano infinite ore a parlare, sapeva che accadeva qualcosa di speciale ed è a loro che si deve il merito di aver capito il perché sbagliamo nel prendere decisioni.

Quello di Kahneman è un lavoro immenso, dedicato al collega scomparso: alla fine è tutta una questione di lentezza o di velocità.

Ci sono molti modi per mettere alla prova la nostra capacità decisionale, quello che propongo è un semplice indovinello, a cui occorre però rispondere d’istinto.

È tutta una questione di lentezza o velocità

Quando si tratta di pensare o di prendere una decisione si mobilitano nel cervello due sistemi: il sistema 1 (S1) e il sistema 2 (S2), dove S1 è intuitivo, impulsivo, adora saltare alle conclusioni, automatico, inconscio, veloce ed economico. S2 è invece consapevole, deliberativo, lento, spesso pigro, faticoso da avviare e riflessivo.

S1 e S2 non esistono nella realtà, sono una pratica analogia (un’etichetta), che ci aiuta a capire ciò che accade nella nostra testa. Per esempio, è grazie a S1 se riusciamo a completare velocemente e senza pensarci la frase «rosso di sera», ad allacciarci le scarpe senza veramente porre attenzione mentale all’azione stessa, notare che un oggetto è più lontano o vicino di un altro o ancora intercettare istantaneamente la paura sul volto di una persona e rispondere in pochi istanti alla domanda: «Qual è capitale della Francia?».

È merito di S2 se riusciamo a concentrarci sulla voce di una persona specifica in una stanza rumorosa e piena di gente. Se riusciamo a trovare la nostra macchina in un parcheggio affollato, a dettare il nostro numero di telefono, a compilare dei questionari, a fare dei calcoli matematici e a imparare poesie a memoria. Non sarebbe possibile svolgere compiti complessi come questi simultaneamente. Possiamo compiere più azioni insieme, ma solo se sono semplici e se richiedono scarso sforzo mentale.

Bias, euristiche e intuizioni

I due sistemi sono entrambi attivi durante il nostro periodo di veglia, ma se il primo funziona in modo automatico, il secondo si posiziona in una modalità in cui può fare il minimo sforzo e solo una piccola percentuale delle sue capacità viene utilizzata. Il suo Diktat è consumare meno calorie possibili.

Normalmente S2 segue i consigli di S1, senza apportare modifiche. Se però il Sistema 1 è in difficoltà, disturba il Sistema 2 affinché lo aiuti ad analizzare le informazioni e suggerisca una soluzione al problema. Allo stesso modo S2, quando si accorge che il suo compagno sta prendendo una cantonata, si attiva: per esempio quando vorresti insultare il capo, ma poi qualcosa ti blocca. Quel qualcosa è il Sistema 2.

Non sempre però S2 viene coinvolto nei giudizi del Sistema 1 e questo porta all’errore. Come? Proprio come è accaduto con l’indovinello proposto in apertura dell’articolo.

Se è indiscutibile che il Sistema 1 è all’origine della maggior parte dei nostri errori (ossia bias ed euristiche) è anche vero che produce tante “intuizioni esperte”, i riflessi automatici che sono essenziali nella nostra vita, per prendere decisioni importanti in poche frazioni di secondo.

Un chirurgo in sala operatoria o un vigile del fuoco di fronte a un incendio, grazie al Sistema 1 fanno scelte di vita e di morte per affrontare delle emergenze e molto spesso prendono la decisione giusta in quei pochi attimi.

Il guaio è che S1 non conosce i propri limiti. Ha la tendenza a fare degli errori imperdonabili nella valutazione delle probabilità statistiche di un evento.

Generalmente usando il Sistema 1 sottovalutiamo il rischio che avvengano eventi rari di tipo catastrofico; salvo invece sovrastimare la probabilità che si ripresentino subito dopo che questi disastri sono accaduti.

Insomma, se da un lato ci aiuta a prendere un numero infinito di decisioni, la sua rapidità genera errori, proprio perché non analizza i dati a disposizione, in quanto questa operazione richiede tempo e lui preferisce saltare a conclusioni per indicarci celermente e senza sforzo la strada da prendere.

Il Sistema 1 è dunque facilmente influenzabile. Ecco che, per prevenire gli errori, ma soprattutto per proteggere le persone affinché non finiscano triturate a causa della volatilità del loro Sistema 1 o della lentezza del Sistema 2 nascono i nudge; la necessità di una spinta gentile che Kahneman cita come la bibbia dell’economia comportamentale «che indirizzi a fare la scelta giusta».

Laura Mondino

Fonti:

Lewis M., Un’amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017 pp. 165-166

Stanovich K., West R., Individual differences in reasoning: Implications for the rationality debate? Behavioral and brain sciences (2000) 23, 645–726 http://pages.ucsd.edu/~mckenzie/StanovichBBS.pdf

Kahneman D., Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano 2016, p. 23.

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