I rischi dell’essere controllati dai propri impulsi

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Gli impulsi sono definiti come meccanismi altamente adattativi che forniscono informazioni sullo stato del proprio corpo e spingono una persona a comportarsi di conseguenza, con lo scopo di soddisfare i propri bisogni fisici.

Per questo motivo, le tentazioni sono definite come quei comportamenti atti a soddisfare tali bisogni che possono entrare in conflitto con i propri obiettivi a lungo termine, in alcuni casi sabotandoli del tutto. 

La connessione tra impulsi e controllo è stata studiata a fondo ed è stata trovata una correlazione tra percezione di resistenza alla tentazione ed esposizione alla stessa. Molti studi hanno dimostrato come una forte sicurezza nel proprio self-control porti a una maggiore esposizione alla tentazione, che a sua volta favorisce comportamenti impulsivi. Al contrario, chi crede di non riuscire a resistere, tenderà a evitare certe situazioni o ambienti e sarà meno suscettibile a cadere in determinati comportamenti.

Questo effetto è chiamato bias della moderazione (o restraint bias) e consiste nella tendenza a sopravvalutare la propria capacità di controllare gli impulsi. Questo fenomeno si presenta nella fame, nel dolore o nella fatica, ma anche nella dipendenza da sostanze come fumo o alcool.

Il gap empatico

Questo bias è strettamente legato a un altro errore cognitivo, l’effetto del gap empatico (o empathy-gap). Questo effetto consiste nella tendenza a sottovalutare l’influenza di uno stato impulsivo (come rabbia, fame, fatica), o stato “caldo”, sulle proprie decisioni e sul proprio comportamento, quando questo stato impulsivo non è presente, ovvero si è in uno stato “freddo”. Si considera per esempio lo stesso lavoro meno faticoso se si è riposati, rispetto a quando si è stanchi. Questo è dovuto al fatto che si ricorda bene l’intensità di questo stato impulsivo e il perché sia accaduto, mentre si fa fatica a ricordare la sensazione.

In uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science, i tre ricercatori Nordgren, van Harreveld e van der Pligt hanno ipotizzato che l’incapacità di valutare la forza motivazionale dell’impulso porti alla sopravvalutazione della propria capacità di controllare la tentazione, quindi al bias della moderazione. Nello specifico, ipotizzavano che persone in assenza di uno stato impulsivo sopravvalutassero la propria facoltà di gestione degli impulsi, mentre persone in uno stato impulsivo riuscissero ad avere una visione più realistica delle loro capacità. Sono quindi andati a testare le loro ipotesi conducendo una serie di esperimenti.

Gli effetti della fatica

In un primo esperimento, i ricercatori hanno indagato come la fatica influenzasse il piano di studi di alcuni studenti. In un gruppo di settantadue partecipanti, sono andati a studiare la loro percezione di controllo della fatica, dopo aver fatto fare loro un’attività faticosa o non faticosa, per poi far stilare loro un piano di studi per il semestre successivo.

La loro ipotesi era che il gruppo di studenti più riposato avrebbe affermato di avere più controllo sulla propria fatica e che questo avrebbe portato i ragazzi a pianificare i loro studi in modo meno cauto, accumulando il lavoro alla fine del semestre. Al contrario, il gruppo più affaticato avrebbe riportato meno controllo e avrebbe stilato un piano di studi più bilanciato, distribuendo il lavoro su tutto il semestre.

L’attività che i due gruppi dovevano svolgere consisteva nel memorizzare una serie casuale di numeri. Per il gruppo che doveva risultare più a riposo, il compito sarebbe durato due minuti, mentre il gruppo più affaticato avrebbe lavorato per venti minuti.

Alla fine del test, è stata trovata una correlazione, seppur non fortissima, tra percezione di controllo sopravvalutata e un piano di studi concentrato alla fine del semestre. Gli studenti affaticati, inoltre, avrebbero lasciato l’11% di lavoro in meno nell’ultima settimana di studio rispetto agli studenti riposati.

Le tentazioni sono definite come comportamenti atti a soddisfare dei bisogni fisici che possono entrare in conflitto con i propri obiettivi.

La fame e la dipendenza del fumo

Nei successivi esperimenti, i ricercatori hanno analizzato la connessione che il bias della moderazione ha con fame e dipendenza dal fumo.

Hanno testato la correlazione con la fame mettendosi all’entrata di una tavola calda, promettendo a chi avesse partecipato allo studio un premio di 4€ se avessero restituito uno snack a loro scelta una settimana dopo. Successivamente, hanno diviso i partecipanti in due gruppi: chi stava uscendo dalla tavola calda dopo aver mangiato e chi invece stava entrando per saziare la sua fame. In accordo con l’effetto del gap empatico, i partecipanti sazi riportavano di avere un maggior controllo sulla propria fame, rispetto a quelli che non avevano mangiato, quindi sarebbero tranquillamente riusciti a ottenere il premio. Ma, una settimana dopo, solo il 39% dei sazi aveva restituito lo snack, contro il 60.5% dei partecipanti affamati. Chi aveva fame, quindi chi si trovava in uno stato “caldo”, è riuscito a giudicare meglio la propria capacità di resistere alla tentazione e, in media, aveva comprato uno snack meno allettante rispetto all’altro gruppo di partecipanti.

Nell’esperimento con i fumatori invece, i ricercatori hanno studiato come il bias della moderazione potesse spiegare perché chi avesse smesso di fumare avesse delle ricadute dopo la cessazione dei sintomi da astinenza, e non durante. La loro ipotesi consisteva nel fatto che, dopo la scomparsa di questi sintomi, le persone tendessero a sovrastimare la loro capacità di resistere alla tentazione di fumare, per poi sovraesporsi a situazioni e contesti che li avrebbero indotti a ricadere nelle vecchie abitudini.

Sono stati riuniti 55 partecipanti, tutti avevano smesso di fumare da almeno tre settimane. È stato proposto loro un questionario che chiedeva di valutare la propria capacità di controllare gli impulsi e quanto erano esposti alla tentazione durante la loro routine quotidiana. Come negli altri casi, chi era più sicuro di sé si sarebbe esposto di più a determinati contesti che potevano indurre a ricadute. Quattro mesi dopo il primo questionario, è stato analizzato il loro status da fumatore, ovvero se avessero smesso o avessero ricominciato, e in che quantità.

Il 33% dei partecipanti non aveva più fumato, mentre il 18% fumava una o due volte a settimana. Il restante 49% fumava invece molto più frequentemente, da una o due sigarette a uno o più pacchetti al giorno. Mentre non è stata trovata una correlazione tra sicurezza di sé e status di fumatore dopo quattro mesi, è stato dimostrato come una maggiore esposizione alla tentazione, dovuta a maggior sicurezza percepita, favorisca la ricaduta.

L’importanza del concetto di “impotenza” di fronte agli impulsi

È chiaro quindi come una percezione distorta del controllo dei propri impulsi influenzi le strategie adottate dalle persone per affrontare le tentazioni. I ricercatori quindi, nella discussione del loro articolo, hanno sollevato un’altra questione: perché le persone intraprendono volontariamente comportamenti che possono sviluppare una dipendenza, nonostante lo sappiano? Il bias della moderazione suggerisce che la risposta possa essere che le persone credono comunque che riusciranno a resistere alla dipendenza, perché pensano, spesso erroneamente, che siano abbastanza forti da controllare i loro impulsi.

Al contrario, una percezione più realistica delle proprie capacità può portare a essere psicologicamente più pronti, come quando ci si aspetta un esito negativo o il peggior risultato possibile.

Due dei capisaldi della lotta all’alcolismo sono l’ammettere la propria impotenza davanti all’alcol e la credenza che un alcolista rimarrà per sempre un alcolista. Questo perché, quando l’impulso viene meno, una persona può illudersi di riuscire a resistere meglio alla tentazione, tornando a correre più rischi.

Carlo Sordini

Fonti:

  1. Nordgren, Loran & van Harreveld, Frenk & Pligt, Joop. (2009). The Restraint Bias: How the Illusion of Self-Restraint Promotes Impulsive Behavior. Psychological science. 20. 1523-8. 10.1111/j.1467-9280.2009.02468.x.
  2. Loewenstein, G. (1996). Out of control: Visceral influences on behavior. Organizational Behavior and Human Decision Processes, 65, 272–292.
  3. Shepperd, J.A., Findley-Klein, C., Kwavnick, K.D., Walker, D., & Perez, S. (2000). Bracing for loss. Journal of Personality and Social Psychology, 78, 620–634.

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