La percezione distorta della conoscenza degli altri e di se stessi

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Spesso si ha l’impressione che gli altri non ci conoscano affatto. Il nostro comportamento viene mal interpretato e abbiamo seri dubbi che gli altri possano capire quello che proviamo, proprio perché non hanno avuto le nostre stesse esperienze o i nostri stessi interessi.

Allo stesso tempo, però, quando guardiamo gli altri, tendiamo a sentirci “osservatori esterni”, imparziali, oggettivi, e quindi corretti. Riusciamo quindi ad analizzare e comprendere a fondo un’altra persona, insieme alle sue motivazioni, interessi e bias personali.

Come si può ben notare, la questione è paradossale e la domanda sorge spontanea: perché allora gli altri dovrebbero far fatica a comprenderci? Il livello di comprensione non dovrebbe essere lo stesso per gli altri e per noi stessi?

Questo fenomeno è un bias, quindi un errore cognitivo, chiamato bias della comprensione asimmetrica.

Quali sono i fattori che causano questa percezione distorta? Questo effetto diminuisce all’aumentare del grado di intimità con una persona? Ci sono determinati comportamenti, motivazioni e interessi per cui questo errore cognitivo si presenta più intensamente nella valutazione degli altri?

Queste sono le domande a cui Emily Pronin, Justin Kruger, Kenneth Savitsky e Lee Ross hanno cercato una risposta, conducendo una serie di esperimenti, poi raccolti in uno studio pubblicato nel 2001 nel Journal of Personality and Social Psychology.

“Quanto conosci il tuo coinquilino?”

Per studiare questo fenomeno, furono reclutate 45 coppie di coinquilini dello stesso sesso dalla Stanford University, dove lavoravano due dei ricercatori. Fu presentato loro un questionario, assicurando che il coinquilino non avrebbe visto le risposte, per incoraggiare a rispondere sinceramente.

Le domande erano divise in due tipologie, consistenti in una valutazione su una scala da 1 a 9:

  • Interpersonale, ovvero quanto loro conoscessero il coinquilino e viceversa,
  • Intrapersonale, ovvero quanto il coinquilino conoscesse se stesso e viceversa.

Per il primo tipo di domande, i partecipanti hanno dichiarato di conoscere il coinquilino in maniera maggiore rispetto alla situazione opposta (6.21 contro 5.69). Anche nel secondo tipo di domande, i partecipanti ritenevano di conoscersi meglio rispetto a quanto i coinquilini conoscessero loro stessi (7.86 contro 7.42). L’esperimento sembrava quindi confermare la presenza di un bias di comprensione asimmetrica.

I ricercatori hanno poi indagato nello stesso gruppo di partecipanti se l’effetto fosse maggiore per caratteristiche personali “private”, comparandole invece con comportamenti “osservabili”. Effettivamente, sembrava esserci una percezione di comprensione asimmetrica maggiore per aspetti privati (come vere emozioni o motivazioni) rispetto ad altri più pubblici.

Inoltre, l’effetto era direttamente proporzionale alla percezione di una certa caratteristica come negativa: più un determinato comportamento del coinquilino era visto negativamente, meno si credeva che il coinquilino fosse consapevole della cosa. Questa correlazione era assente per caratteristiche neutre o positive.

Spesso si ha l’impressione che gli altri non ci conoscano affatto e abbiamo seri dubbi che possano capire quello che proviamo o pensiamo.

“Quanto conosci un tuo buon amico?”

Prima dell’esperimento con i coinquilini, fu condotto in realtà un altro test, usando un amico stretto come termine di riferimento. Fu chiesto a un gruppo di 125 di rispondere a un questionario, valutando su una scala da 1 a 11 il livello di conoscenza che loro avevano per un loro buon amico e viceversa. Inoltre, fu chiesto loro di comparare inoltre quanto della loro vera natura fosse nascosto agli altri, si celasse sotto la superficie, cerchiando l’immagine che più rappresentava la loro percezione. L’immagine era costituita da un disegno di un iceberg: più l’iceberg era immerso nell’acqua, più la propria vera natura era vista come nascosta. La stessa cosa fu chiesta poi per la vera natura del buon amico.

I risultati erano congruenti all’effetto del bias di comprensione asimmetrica: i partecipanti ritenevano di conoscere il loro amico (8.89 di punteggio) più di quanto l’amico non conoscesse loro (8.64). Inoltre, pensavano che la loro vera natura fosse più nascosta di quella dell’amico (7.67 contro 8.02). Questi risultati, seppur in concordanza con l’ipotesi dei ricercatori, mostravano come l’effetto fosse di entità minore rispetto all’esperimento con i coinquilini. Questo sembra suggerire quindi che il grado di intimità sia inversamente proporzionale all’effetto del bias di comprensione asimmetrica.

Le cause

L’origine di questa percezione distorta, dicono i ricercatori, è da ricercare nella convinzione che l’accesso ai propri pensieri privati ed emozioni sia un processo più critico, rispetto a quando non sono gli altri a farlo per noi. Anche nell’esperimento con un amico stretto, i partecipanti infatti giudicavano la loro vera natura come “più nascosta sotto la superficie”.

Un altro meccanismo sottostante questo fenomeno è la propria percezione di suscettibilità a determinati bias e comportamenti (il che costitusice un altro bias: il bias del punto cieco). Nell’esperimento con il proprio coinquilino, più una certa caratteristica di quella persona era descritta come negativa, più i partecipanti tendevano a dubitare che ne fosse a conoscenza. Al contrario, gli studenti intervistati non avevano dubbi simili riguardo la conoscenza di loro stessi.

Uno spunto di riflessione che offrono gli autori è che questo effetto possa essere più frequente in culture più individualiste, come la maggior parte delle culture occidentali. In altri contesti, la ricercatrice Campbell e i suoi colleghi hanno riscontrato un effetto minore in un gruppo di partecipanti del Giappone.

I ricercatori invitano i lettori, in conclusione, a essere quindi più pazienti quando gli altri affermano di non essere capiti o mal interpretati, e ad ascoltare di più e parlare di meno, spostando quindi il centro della conversazione dall’Io al Tu. Dopotutto, questo bias è ciò che ci rende reticenti ad ascoltare i consigli che riceviamo, perché riteniamo che gli altri non possano effettivamente conoscere i nostri pensieri, emozioni, esperienze.

Carlo Sordini

Fonti:

  1. Pronin, E., Kruger, J., Savtisky, K., & Ross, L. (2001). You don’t know me, but I know you: The illusion of asymmetric insight. Journal of Personality and Social Psychology, 81(4), 639–656. https://doi.org/10.1037/0022-3514.81.4.639
  2. Pronin, E., Lin, D. Y., & Ross, L. (2002). The bias blind spot: Perceptions of bias in self versus others. Personality and Social Psychology Bulletin, 28(3), 369–381. https://doi.org/10.1177/0146167202286008
  3. Heine, Steven & Kitayama, Shinobu & Lehman, Darrin. (2001). Cultural Differences in Self-Evaluation; Japanese Readily Accept Negative Self-Relevant Information. Journal of Cross-cultural Psychology – J CROSS-CULT PSYCHOL. 32. 434-443. 10.1177/0022022101032004004.

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