Non è la pigrizia a farci rimandare a domani ciò che andrebbe fatto oggi

Tempo di lettura: 8 minuti

Come al solito non hai voglia di studiare… di allenarti… di lavorare…

Frasi trite e ritrite che ci siamo sentiti dire e che abbiamo rivolto un numero indefinito di volte.

Gli altri si aspettano tante cose da noi e noi di riflesso facciamo lo stesso con chi ci circonda, con chi veniamo in contatto, con chi viviamo e lavoriamo giorno dopo giorno. Spinti da quella orrenda frase che ci rincorre fin da bambini puoi fare di più.

In azienda, persone di tutti i ruoli procrastinano la consegna di progetti, mancano appuntamenti importanti e arrivano tardi laddove è considerato sacrilego. Così accade in Università: raramente gli studenti consegnano gli elaborati rispettando la scadenza. In uno dei miei corsi, una studentessa ha perso due anni per consegnare la tesi.

Pigrizia, scarsa volontà? No. Assolutamente no. O meglio: fino a non troppo tempo fa pensavo anch’io che fosse così…

Studio i comportamenti, quindi sono interessata (ossessionata è più corretto) a ciò che guida le scelte umane. Quando si cerca di anticipare le azioni di un soggetto guardare il contesto è più predittivo che rifarsi all’intelligenza o ad altri tratti della personalità[1].

Così quando qualcuno non riesce a stare nei tempi, ho imparato a chiedermi: “Quale situazione lo ha rallentato o bloccato? Che cosa gli è mancato? Quali ostacoli che non vedo gli impediscono di agire?”.

Con il tempo ho imparato che ci sono sempre ostacoli che ci limitano, ecco perché è sbagliato gridare alla cattiva volontà o alla pigrizia, se prima non si è analizzato il contesto.

Possiamo giudicare o cercare di capire

Di fronte a un comportamento di una persona che non rispetta le nostre aspettative, possiamo comportarci in due modi: giudicare o cercare di capire. Fra le due è molto più semplice giudicare e additare i procrastinatori per il loro cattivo comportamento. Rinviare un progetto riporta facilmente all’idea di pigrizia, almeno a una analisi superficiale. Spesso lo pensano così anche coloro che procrastinano… devi fare qualcosa, sei un fallimento, un pigro…

Da decenni gli studi psicologici spiegano la procrastinazione non come un effetto collaterale della pigrizia, come dimostrano tra l’altro anche molte persone di successo che hanno raggiunto risultati sopra la media procrastinando[2].

La procrastinazione è un processo esistenziale più profondo e complesso di quanto appare. E di come ci piace etichettare[3].

In azienda, persone di tutti i ruoli procrastinano la consegna di progetti, mancano appuntamenti importanti e arrivano tardi.

Perché procrastiniamo?

Ci piace spiegare pigrizia, negligenza e scarso senso del dovere (“Ce la potrebbe fare… ma non si applica!”), quale risposta a una cattiva gestione del tempo, a una scarsa pianificazione delle attività, a una insufficiente efficacia nella risoluzione dei problemi (“Ce la potrebbe fare… prova ad applicarsi… ma lo fa male!”).

Ciò che caratterizza la procrastinazione, invece, non è solo l’atto di rimandare un’attività… ma anche la disturbante percezione emotiva che ne consegue: la sensazione che stiamo andando contro ciò che ci suggerisce il buon senso. Di fatto è un “auto-sabotaggio”. Inizialmente ci solleva dall’ansia, poi non ci fa sentire a posto con noi stessi.

Procrastinare è un comportamento irrazionale. Secondo Tim Pychyl, professore di Psicologia e membro del Gruppo di Ricerca sulla Procrastinazione dell’Università di Carleton di Ottawa, la procrastinazione non è causa di pigrizia, ma una reazione a stati emotivi dolenti che si faticano a gestire: ansia, timore di critica, inadeguatezza, senso di colpa. È il prevalere dell’urgenza di gestire immediatamente un’emozione dolorosa, rispetto al vantaggio a lungo termine di portare avanti un’attività.

A questo vanno aggiunti i personali stati d’animo: Sarò in grado di portare a termine il progetto? Che cosa penseranno gli altri di me se dovessi fallire?

Davanti a questi pensieri possiamo allarmarci e cercare una via di fuga: questo non elimina gli stati dolorosi associati all’impegno rimandato, ma semplicemente li posticipa spesso in maniera non indulgente, ma sotto forma di dialogo interiore severo e inflessibile (“Buono a nulla! Incapace! Non sei in grado!”) che aumenta la sofferenza e che paradossalmente proviamo a gestire… procrastinando ancora!

Torniamo a noi…

L’intolleranza alla procrastinazione non deve farci dimenticare che spesso è determinata da ragioni più profonde che la scarsa volontà, come invece accade.

Conosco colleghi dell’Università che non si sono mai chiesti cosa bloccasse uno studente. Una collega si rifiutava di lasciar entrare in classe qualunque studente in ritardo. Non si interessava del perché; partiva dall’idea che nulla è impossibile se lo vuoi ottenere, figuriamoci arrivare in orario alle lezioni. Ricordo di un ragazzo sordomuto – che poi si è laureato con il massimo dei voti in Ingegneria – venire sottoposto a esame orale anziché scritto e venir bacchettato dal docente perché non capiva la domanda. Quando sarebbe bastato guardarlo in volto, affinché leggesse il labiale. Non è diventato un procrastinatore, ma avrebbe potuto diventarlo e non per scarsa volontà.

O la studentessa che arrivava sovente in ritardo la prima ora di lezione, perché passava le notti al capezzale della madre morente. Provava vergogna per la ruvidezza del docente e nemmeno trovava la forza per esplicitare la sua situazione.

Al di là delle catalogazioni scientifiche, talvolta sarebbe sufficiente chiedersi il perché di un comportamento, prima di giudicarlo senza ascoltarne la risposta.

So che non è facile, pochi di noi sono stati abituati a riflettere su ciò che blocca i collaboratori, gli studenti, perfino gli amici. Tanti sono coloro che orgogliosamente rifiutano di condividere spazio e tempo con chi è meno fortunato, più lento, apparentemente meno élitario. Più rivestiamo ruoli importanti più mettiamo distanza, benché diventiamo vittime di altre problematiche rispetto alla pigrizia. Eppure proprio come sappiamo che la pigrizia non è sempre una scelta attiva, anche i comportamenti élitari e giudiziari sono determinati dall’ignoranza situazionale.

Il segreto è chiedersi contro cosa lottano gli altri e ricordare che probabilmente non lo hanno scelto. Ci stanno provando a fare bene, ma non sempre è facile. Alcune barriere sono difficili da abbattere, anche per i più forti e i più tenaci. Spesso, è sufficiente adottare un approccio curioso ed empatico nei confronti di individui che inizialmente vogliamo giudicare “pigri” o irresponsabili. Mi viene spontaneo domandarmi perché abbiamo questa esigenza da soddisfare, prima ancora di capire le ragioni della pigrizia altrui.

Le persone non scelgono deliberatamente di fallire o di deludere. Nessuno vuole sentirsi incapace, inefficace o inutile. Se guardando l’azione (o la non azione) di una persona, vedi solo pigrizia, probabilmente ti sei perso i dettagli chiave. C’è sempre una spiegazione. Ci sono sempre barriere. Solo perché non puoi vederle o non le vedi come legittime, non significa che non ci siano.

Forse devi solo imparare a guardare meglio.

Laura Mondino


[1] https://psycnet.apa.org/record/1979-28632-001

[2] https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/0092656686901273

[3] https://www.nytimes.com/2019/03/25/smarter-living/why-you-procrastinate-it-has-nothing-to-do-with-self-control.html

Bias collegato: