Decision making e nudge a tavola

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Qual è la quantità ottimale di sale e zucchero che dovremmo assumere giornalmente? Quanta è, invece, quella che consumiamo realmente?

A meno che non si soffra di specifiche patologie, la maggior parte delle persone non presta troppa attenzione a tali consumi, tanto da ripetere ritualmente il gesto di versare una o due intere bustine nella tazza del caffè, senza tener conto della reale quantità di zucchero in esse contenuto. Così come si ha l’abitudine di salare le pietanze, prima ancora di averle assaggiate. Un gesto istintivo ma non innocuo, nel lungo periodo.

Questi automatismi intervengono per aiutarci nel decision making. Non è una novità che siamo pigri e piuttosto che impelagarci in domande e calcoli le cui risposte richiedono uno sforzo cognitivo, tendiamo a lasciare le cose nello stato in cui sono, cadendo vittime di due insidiosi bias: status quo e opzione di default.

Per fortuna, per contrastare la nostra irrazionalità, vengono in aiuto i Nudge: approccio ideato dall’economista Richard Thaler, premio Nobel nel 2017, e dal giurista Cass Sunstein che, a partire dai principi della Behavioural Economics, permette di indirizzare le persone verso scelte libere da errori sistematici ai quali la maggior parte degli individui è sensibile. Teoria che trova applicazione in moltissimi campi, anche in quello della salute, per promuovere comportamenti funzionali al benessere individuale e sociale.

Tornando alle domande poste in apertura, è l’O.M.S. a dettare le regole e prevedere nel 10%, dell’apporto complessivo di calorie ingerite, il limite massimo di zuccheri liberi da assumersi giornalmente. Tradotto: 6 cucchiaini da tè al giorno.  Per il sale, il consumo massimo raccomandato dall’O.M.S. è 5 grammi (2 grammi al giorno di sodio). In entrambi i casi però ne assumiamo, in media, il doppio.

La consapevolezza del quanto basta (q.b.)

Nei locali tradizionali di fish and chips, in Inghilterra, per ridurre le quantità di sale consumate dai clienti (in un solo pasto era contenuto quasi la metà dell’apporto quotidiano consigliato), gli esperti di nudge hanno agito sulle saliere. Sono state realizzate saliere con soli cinque fori (quelle tradizionali ne contengono diciassette): l’obiettivo era correggere il gesto automatico del consumatore. Grazie ai nuovi contenitori l’apporto di sale è diminuito del 60% senza che siano state sacrificate le esigenze del cliente[1].

Non ce la caviamo meglio con lo zucchero. Lo dimostra il fatto che ragioniamo in base al numero di cucchiaini e bustine consumate e non in grammi assunti, perdendo quindi in precisione. Al proposito, uno degli interventi che vale la pena citare, è quello condotto dal team di Nudge Italia, che ha visto sostituire, nei bar che hanno aderito alla sperimentazione, le bustine di zucchero dalla dimensione standard di 7 grammi, con bustine da 4 grammi. Questo ha portato a una riduzione del consumo medio di zucchero, a persona, da 5,91 a 3,05 grammi[2].

Vietato vietare

Quando si progettano interventi di nudge, è importante lasciare alle persone la libera scelta. Quando la libertà di scelta viene meno si rischia l’effetto opposto, come ha toccato con mano l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, quando nel 2012 ha proposto di limitare le dimensioni dei contenitori di bibite zuccherate, i cosiddetti Big Gulp (capaci di contenere 1,9 litri di bevanda a bicchiere), a una dimensione massima di mezzo litro[3].

Il provvedimento, benché approvato dal New York City Board of Health, è stato poi bocciato dal tribunale di New York: la proposta voleva proibire i grandi contenitori, ma di fatto non vietava di bere a piacimento, costringeva solo le persone a riempire più volte il bicchiere. L’idea non era totalmente da buttare: andava però rivisitata, in linea con gli indirizzi dettati dalle scienze comportamentali.

Se vogliamo spingere le persone verso comportamenti virtuosi e salutari, dobbiamo lasciare loro delle opzioni fra le quali scegliere. Bloomberg pur nel tentativo di trovare delle soluzioni a problemi spinosi, è incorso in un errore grossolano: quello del divieto. Quando ci viene proibito qualcosa, la più comune delle reazioni è la reattanza, fenomeno descritto dallo psicologo Jack Brehm e presente fin dalla più giovane età: i bambini di 2 anni non mostrano una preferenza speciale per i giocattoli che sono alla loro portata, ma mostrano un interesse tre volte maggiore per quelli nascosti dietro una barriera di plexiglass trasparente.

Quando subiamo una forte pressione per accettare un punto di vista, un atteggiamento o una decisione, andiamo incontro a una reazione violenta che prende il nome di reattanza psicologica. A generarsi è una resistenza che porta a reagire nella direzione opposta, rafforzando il punto di vista o l’atteggiamento inverso. Fondamentalmente, la reattanza è una strategia di controforza per mantenere o riconquistare la nostra libertà. Semplicemente ci ribelliamo.

Più che vietare i Big Gulp, Bloomberg avrebbe potuto suggerire di modificare il design dei contenitori: un bicchiere più basso e largo ci spinge a riempirlo di più di uno alto e stretto. La forma del bicchiere è probabilmente l’ultima cosa a cui si pensa quando si porta un calice alla bocca, tuttavia, i ricercatori ritengono che beviamo più velocemente da bicchieri dalla forma ricurva rispetto a quelli dritti. In un esperimento, i soggetti impiegavano sette minuti a bere mezza pinta di birra contenuta in un bicchiere ricurvo, contro gli undici, quando la stessa quantità era servita in bicchieri dritti[4].

Sono gli occhi a far di calcolo

Sempre in ottica di uno stile di vita salutare, si possono usare piatti più piccoli, che contengono una porzione di cibo minore di quella usata di solito, senza che si avverta la fame. A dimostrarlo, un esperimento bizzarro in cui i partecipanti, divisi in due gruppi, venivano invitati a consumare una zuppa.

Un gruppo mangiava da una scodella che impercettibilmente e a loro insaputa, continuava a riempirsi di minestra da un foro nascosto sul fondo. L’altro gruppo consumava il cibo da una tazza normale. Chi mangiava dalla tazza truccata ha consumato il 73% di zuppa in più senza saperlo. Ma soprattutto non si sentiva più sazio di chi aveva invece mangiato una dose normale di zuppa. Il calcolo calorico non era stato fatto dalla pancia ma dagli occhi[5].

Di fronte a queste evidenze, essere consapevoli della potenza della nostra irrazionalità, può rappresentare un vantaggio competitivo non trascurabile.

Laura Mondino


[1] Nainggolan L., Ripe for Change: US Ponders Population wide Salt-Reduction Policies, theheart.org Jan. 29, 2010

[2] http://www.nudgeitalia.it/blog/index.php?id=156595764413

[3] 226 edition.cnn.com/2012/06/01/opinion/morrissey-bloomberg-soda/index.html

[4] Attwood A.S., Scott-Samuel N.E., Stothart G., Munafò M.R., (2012), Glass Shape Influences Consumption Rate for Alcoholic Beverages, PLoS ONE 7(8): e43007.

[5] Wansink B., Cheney M.M., Super Bowls: Serving Bowl Size and Food Consumption, JAMA 2005, 293(14):1727-1728.

Bias collegato: