Le conversazioni che mettono in trappola

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Abbiamo tutti esempi di conversazioni noiose in cui siamo rimasti intrappolati e che siamo stati incapaci di chiudere in tempi rapidi. Ciò che però ignoriamo è che, spesso, sono entrambi gli interlocutori a volere terminare la chiacchierata prima di quanto poi avvenga.

Volenti o nolenti, perdiamo la capacità di soddisfare i nostri interessi e di allinearci a quelli di coloro con i quali stiamo chiacchierando. Perdendo tempo prezioso o non sfruttandolo al meglio.

Non siamo cioè né efficaci, né strategici.

La ricerca di Harvard

A mostrare la nostra incapacità di mettere fine a conversazioni poco utili o a gestirle tanto da farle diventare efficaci se non per noi, almeno per l’altro, due esperimenti condotti da un gruppo di ricerca del dipartimento di psicologia dell’Università di Harvard.[1]

Nel primo, 252 persone reclutate all’interno del Dipartimento di Psicologia, sono stati accoppiate per tenere una conversazione che poteva durare, a loro piacimento, fino a 45 minuti.

Nel secondo, a 806 volontari reclutati casualmente, è stato chiesto di rispondere ad alcune domande riguardo le loro conversazioni più recenti; nello specifico, poi, è stato chiesto di dichiarare se il momento in cui avrebbero voluto concludere la conversazione e il momento della fine effettiva, coincidessero.

I risultati

In entrambi i casi:

  • più di due terzi ha riferito che la conversazione era durata più a lungo di quanto avesse voluto,
  • il 10% dichiarato che la conversazione era stata troppo breve e che avrebbe voluto continuare a parlare,
  • a essere soddisfatti della durata appena il 2%.

I risultati complessivi degli esperimenti indicano che la durata desiderata delle conversazioni è di circa la metà rispetto a quella effettiva. È emersa inoltre una generale incapacità di intuire i desideri dell’altra persona. Alcuni partecipanti hanno infatti sovrastimato le intenzioni dell’altro: le ipotesi erano sbagliate nel 64% dei casi[2].

Dale Barr, psicologo all’Università di Glasgow, ritiene quello di Harvard il primo studio che prova a misurare con precisione quanto sia difficile per le persone bilanciare i propri desideri con ciò che desiderano i loro interlocutori. Altre ricerche supportano quanto le persone siano meno capaci a decifrare cosa pensano gli altri rispetto a quanto immaginano[3].

E se a peggiorare la situazione si aggiungessero anche i bias?

Abbiamo tutti esempi di conversazioni noiose in cui siamo rimasti intrappolati e che siamo stati incapaci di chiudere in tempi rapidi.

Quando i bias non aiutano

Non siamo bravi né a soddisfare i nostri interessi, né quelli dei nostri interlocutori. Non solo non siamo strategici, ma nemmeno efficaci. Almeno in alcuni tipi di conversazione. Tanto da preferire di rimanere intrappolati, per non offendere l’altro, che trovare una vita di uscita.

Una delle ragioni è da attribuirsi al courtesy bias, il pregiudizio che spinge a essere cortesi con coloro che cercano la nostra opinione, o che paiono ascoltarci. Questo impedisce la libera espressione di qualsiasi feedback onesto che potrebbe essere percepito come negativo dal destinatario. Mentre il bias di cortesia può salvare le persone da situazioni di disagio a breve termine, può anche ostacolare scambi costruttivi che possono aiutare a migliorare le cose.

Non è da meno il bias dello status quo, la tendenza a lasciare le cose come stanno: se anche ci annoiamo, riteniamo che sia meno faticoso che intervenire cambiando strategia.

Ad annebbiare la nostra percezione potrebbe intervenire anche l’effetto del falso consenso, il bias che induce a vedere le proprie scelte e giudizi come comuni e appropriati alle circostanze esistenti. Presumendo che gli altri la pensino come noi, sopravvalutiamo quanto gli altri possano condividere i nostri pensieri, le nostre azioni e atteggiamenti. Tanto da non farci nemmeno considerare che ciò che stiamo dicendo forse non è così interessante per chi ci sta davanti.

Questo è appena un breve excursus, cui si sommano molti altri pregiudizi a seconda del contesto e dell’interlocutore che si prende in considerazione all’interno di una qualsiasi interazione. Sarebbe errato ignorarne impatto e portata. Più sfidante, purché si riesca a bypassare lo status quo, è trovare tutti gli altri.

Con il senno di poi, per concludere, è molto chiaro il motivo per il quale, in molti casi, preferiamo parlare davanti a un drink o pranzando: a un certo punto il bicchiere vuoto o il conto da pagare offrono un appiglio per porre fine all’agonia di quella conversazione.

Laura Mondino


[1] Mastroianni A.M., Gilbert D.T., Cooney G., Wilson T.D., Do conversations end when people want them to?, Proceedings of the National Academy of Sciences, PNAS, March 9, 2021- 118(10) e2011809118

[2] O’Grady C., When should you end a conversation? Probably sooner than you think, Science, Mar. 1, 2021

[3] Heyes C., Submentalizing: I Am Not Really Reading Your Mind, SageJournals,March 4, 2014, Vol. 9 (2), pp. 131-143

Bias collegato: